giovedì 22 dicembre 2016

Modena City Rosè

Nel mezzo del cammin di vostra corsa ai regali di Natale, vi ritrovaste per una selva oscura che il vostro portafogli vuoto vi fece paura.. Allora, per voi plebei squattrinati e servi della gleba affannati, ecco una proposta per bagnarvi l'adunco becco con le poche monetine di rame che ancora vi ritovate in fondo alla tasca.
E' uno spumante rosè, provenienza Modena, azienda Cleto Chiarli, uve Lambrusco.
Obiezioni della servitù: a me il lambrusco non mi piace; io i rosè li schifo e li odio; ma l'Emilia-romagna...
Lo so, lo so.. dopo che uno vi ha fatto na capa tanta col pinot nero e gli Champagne, vi si presenta con un lambruschetto. ma ricordate la premessa: squattrinati e affannati!
Questo però è uno Spumante (non so se si era capito ma io il termine bollicina lo aborro, soprattutto al plurale e con la b maiuscola) che vi darà ristoro e sollievo dalle vostre fatiche natalizie e con un prezzo finito intorno ai 10 euro a bottiglia non vi costringerà ad andare dal vostro cravattaro.
Servito freddo a 8°C e sorbito avidamente intervallato da morsi capaci ad uno gnocco fritto e due fette di Felino fa la sua porca figura. Quindi astenersi dalla lettura: snob e filosofi del naturale, amanti dei grandi vini di piccole cantine, poeti del vigneron che cura la vigna vite per vite.
Qui si fanno i numeri e ci sta la potenza economica, l'agricoltura è convenzionale e il mercato non è il Demonio: perciò Chiarli esiste da più di centocinquant'anni, perciò le etichette di più larga produzione le trovate accatastate a milioni in ogni Conad del regno, perciò 15 righe fa stavate sollevando il sopracciglio critico. 
Ma ve state a sbajà! Prima di tutto la linea CLETO Chiarli nasce e si fa per sollevarsi un attimo dal livello supermercato e poi, come sempre, il vino ve lo dovete bere per giudicare, sennò de che stamo a parlà?
Il Lambrusco è una vite di probabile origine del mantovano, pure Virgilio (a proposito della frase iniziale di questo post) ne attestò la forte diffusione. Esiste e regna in una decina di biotipi: Grasparossa, Viadanese, Maestri, Salamino, Reggiano, Mantovano e chi più ne ha..   
All'abruzzese caprone poco piace: troppo lontano da mamma Montepulciano per essere vino.
All'abruzzese sommelier poco piace: troppo comune, troppo nazional-popolare, poco vino da meditazione, poco adatto all'uso di iperbole superlative nella descrizione. 
Eppure il lambrusco ha avuto un ruolo chiave nella vitivinicoltura italiana ben oltre alle sue qualità proprie: è stato il primo vino italico a varcare le frontiere USA, quando un misconosciuto imbottigliatore esportò milioni di bottiglie della "coca-cola italiana" ai gringos. Quell'imbottigliatore di cognome faceva Biondi-Santi e con quei dollari ignoranti finanziò l'epopea del Brunello di Montalcino. Magari se non fosse esistito il lambrusco...
Ma veniamo alla tazza.

"Brut de Noir" Rosé - Cleto Chiarli 12% 

Le uve sono Lambrusco Grasparossa (che si chiama così per il colore del raspo, come si vede nella foto precedente) e piccole quantità di Pinot Nero (lo so, sempre lui, ma non l'ho fatto apposta) addizionato probabilmente più per affinare il perlage che per dare profondità al bouquet olfattivo. Il metodo di rifermentazione è in "cuve close", che è una perifrasi fighetta per dire rifermentazione in autoclave.
Vamos!
 Al bicchiere si presenta di un rosa polpa di ciliegia cristallino, la quantità e la qualità delle bollicine lo rendono accattivante. Queste sono fini e abbastanza numerose ma non molto persistenti. La spuma superficiale è rapida nello sparire. Nel complesso, l'aspetto non è male. Il naso è virato tutto sulle note primarie e varietali con un bouquet franco ma poco articolato. Le note fruttate sono le più presenti: ciliegie, fragole e piccoli frutti di bosco. Leggero finale vegetale. Al palato è secco, abbastanza caldo, abbastanza morbido, fresco e abbastanza sapido. di buon corpo,equilibrato e fine, pecca un po' in lunghezza una volta deglutito. Ma il sorso è fresco e piacevole in buon equilibrio. La bocca resta pulita e asciutta, non così stimolata come si penserebbe la salivazione, ma anche le sensazioni retronasali sono piacevoli e delicate.
Dal punto di vista dell'armonia generale, non raggiunge il pieno valore ma non promette ciò che non mantiene. I vari aspetti vista, olfatto, gusto sono tra loro equilibrati e discretamente armonizzati.
Certo non gli potete chiedere la luna, ma neanche a me potete chiedere di ballarvi il lago dei cigni in tutù. Quindi, tout se tient e il risultato è uno spumante piacevole, da gustare spensieratamente senza parsimonia. Il prezzo non fa il valore, ma conta: e questo è uno spumantino simpatico che tutti si possono permettere sempre e magari gli snob possono riconsiderare l'idea di Lambrusco.

83/100      

  

 

sabato 17 dicembre 2016

Allons enfants..


Dicembre, andiamo, è tempo di stappare! disse il poeta. Allora nel tempo delle feste, chiudiamo l'anno delle degustazioni con il Re: Champagne!
L'occasione ce la presenta il Bureau de Champagne con una lunga serie di appuntamenti degustativi in tutta Italia, nel nostro caso siamo fortunati: relatore è l'ambasciatore dello Champagne per l'Italia Nicola Roni
Fin dalle origini lo Champagne ha vissuto la sua storia e la sua narrazione con i caratteri del mito: potrebbe essere una favola di Esopo, in cui la morale è superare le difficoltà senza superarle, anzi trasformandole in eccellezza irripetibile. La fama di questo spumante, peraltro pienamente meritata, è molto dovuta al carattere elitario ed esclusivo che ammanta l'intera sua storia. Fin dalle origini è stato il vino delle corti europee ed ha bagnato incoronazioni e nascite di regni. Ma il tratto saliente rimane quello della difficoltà e del come uscirne alla grande: per secoli i produttori hanno combattuto quella seconda fermentazione che spaccava bottiglie e sparava tappi, anche con la superstizione. Poi "le vin du diable" è stato domato con una bottiglia più spessa, con la gabbietta a trattenere il sughero e arrendendosi ad una personalità così esuberante e particolare. Da qui, finisce la storia ed inizia il mito. Con buona pace di chi nei secoli ha cercato di copiarlo, replicarlo, contraffarlo, adattarlo ed affrontarlo. 
La fredda sera di dicembre si snoda tra degorgement, pas dosé, brut nature, vigneron e cuvée multimillesimé. E ridendo e scherzando, viene fuori la piccola grande batteria dei quattro Champagne: variegata e polifonica, tenta di dare un'idea delle mille sfaccettature del diamante francese.

Ils sont:

1. Franck Bonville, Avize, Grand Cru, Blanc de Blancs

2. Pommery, Reims, Brut Apanage

3. André Bergère, Epernay, Prestige Brut millesimo 2008

4. Lanson, Reims, Extra Age 

Quindi abbiamo: un blanc de blancs (cioè esclusivamente da uve bianche, dunque Chardonnay 100%); un blending classico a prevalenza Chardonnay ; un millesimato, cioè da cuvée della stessa ottima annata; e infine un multimillesimo o polimillesimo, cioè da cuvée selezionate di tre ottime annate.
Allons enfants...

1. Franck Bonville, Avize, Grand Cru, Blanc de Blancs
Arriva giallo paglierino con riflessi dorati e una luminosità riflessa da bollicine veramente fini e numerose. Il perlage è di classe: la bollicina, conclusa la sua corsa dal fondo verso il pelo del liquido, stenta a sparire e si raduna con le altre al centro del cerchio per lunghi istanti. La spuma superficiale molto compatta e di circa un centimetro ha appena lasciato traccia di sè in una corona brillante.
Già dal naso si percepisce una freschezza (sia in termini di acidità che di leggerezza giovanile) piacevole ed armonica. Il bouquet è delicato ed equilibrato: floreale di fiori bianchi, fruttato di ananas e pesca nettarina, con note citrine di pompelmo, lieve ricordo di crema pasticcera su un fondo erbaceo di aromatiche da cucina. Molto elegante e fine.
In bocca è secco, abbastanza caldo, abbastanza morbido. Già accennato alla freschezza, sostenuta da una vena sapida di mineralità estremamente piacevole, quasi un'aria di mare. L'equilibrio tra le componenti è riuscito e il corpo sinuoso ben si rapporta con la persistenza. Una volta deglutito la bocca è perfettamente pulita e le sensazioni retronasali invitano a ripetere l'esperienza.

89/100
 
Avize è il cuore della Cote des Blancs e questo lo sapevamo, sapevamo pure che qui lo Chardonnay è LO CHARDONNAY, è quello che tutti vorrebbero fare. Quello che abbiamo saputo è che la maison fa esclusivamente Blanc de Blancs, che le sue cuvée non conoscono legno (se non per una etichetta) e che la sua storia come Recoltant Manipulant (cioè come produttore di uva e di vino in proprio) inizia nel secondo dopoguerra, quando si stacca dalla casa-madre Veuve-Cliquot. Della casa della Vedova si intravvede comunque, almeno in questa etichetta, un'impronta di stile.
Da tenere in considerazione..

 2. Pommery, Reims, Brut Apanage
 Altro fisico, altra storia: già alla mescita si presenta con un altro carattere. La spuma è più gonfia, ma anche più veloce nello scemare. Le bollicine sono fini , come si richiede ad un methode champenoise, numerose e persistenti, il colore è più virato sul dorato che sul paglierino. Aspetto bello e luminoso. Una certa irruenza sorprende l'olfatto: l'anidride carbonica viaggia come un treno, quasi a colpire le mucose. I profumi giocano su altri piani rispetto al precedente: niente di spiacevole, ma una nota sulfurea iniziale come sfregando un fiammifero apre il bouquet e dà il via ad una successione di sentori minerali (pietra bagnata), poi frutta esotica e profumi di forno (pane caldo e pasticceria secca).
In bocca è secco, caldo, abbastanza morbido, fresco e sapido. Il corpo è più muscoloso rispetto al Bonville e una volta sorseggiato il contenuto glicerico si rivela sulla superficie del bicchiere. Comunque elegante e fine, con buona persistenza.

86/100

Dopo il passaggio di mano del 2002 da LVMH (Louis Vuitton e compagnia bella) a Vranken, la maison sta cercando di risalire il K2 della qualità. In effetti la mano dello chef de cave Thierry Gasco è personale ed identitaria, e comincia a dare un'impronta non scontata alle cuvée. Il maggiore spessore di corpo e la carbonica più invasiva suggeriscono un'abbinamento a piatti importanti di pescato, ma anche a carni bianche saporite e grasse. Da riesplorare..
 
 3. André Bergère, Epernay, Prestige Brut millesimo 2008

Calice d'oro pieno e brillante, perlage fitto e sottilissimo con ottima persistenza sono il biglietto da visita di questo millesimo 2008 che si annuncia più rotondo ed evoluto dei precedenti.
All'olfatto, il principe dei sentori è un etereo di smalto o ceralacca, segue un vegetale di foglia bagnata prima, di fungo e muschio poi. La nota fruttata è determinata dalla buccia d'arancia caramellata e da nocciole tostate, in chiusura pan di spagna bagnato all'alchermes. Un bouquet di grande piacevolezza, sorprendente per la profondità e l'articolazione. Complessità ed eleganza al top.
Una volta sorseggiato, la sorpresa è una morbidezza capace di un sorso avvolgente con un corpo autorevole ma non massiccio. Nessuna sorpresa invece dal lato della freschezza gustativa (piena) e dalla mineralità consueta alla categoria, qui viva ma non invasiva.
La persistenza e l'intensità, una volta deglutito il sorso, riportano per via retronasale la nota di frutta secca piacevole e morbida. Un profilo organolettico molto interessante, per la complessità che già esprime non va atteso un minuto di più, anche se...

92/100


4. Lanson, Reims, Extra Age
Colore giallo dorato, bollicina elegante e lenta quanto numerosa. Brillante e di grande luminosità.
Inizialmente chiuso e restio a rivelare il bouquet, lascia poi intravvedere un naso molto evoluto, dove predominano le fragranze mature: frutta secca (nocciole e mandorle), miele di castagno, foglia di tabacco, cioccolato bianco, i frutti del sottobosco: fungo porcino grigliato, note tostate di caffè. In bocca è caldo, secco e morbido, abbastanza fresco e sapido. L'equilibrio è buono e dinamico, rotondità nel sorso e poi verticalità delle durezze, in particolare della mineralità, ne fanno un elegante Champagne da tutto pasto o da meditazione. Intenso e persistente è nel pieno della sua maturità. Carpe diem!
Accompagna bene i piatti di mare più impegnativi e saporiti: scampi al cognac, pescatrice alla marinara ma anche qualche arrosto di terra (agnello e funghi alla griglia).

94/100

Sarà la predominanza del Pinot nero (60 a 40 con lo Chardonnay), sarà l'unione riuscitissima dei tre millesimi 2000, 2002, 2004. Ma questo Lanson è emblematico e originalissimo. La sboccatura, meno recente rispetto agli altri (dicembre 2014) forse gli fa perdere qualcosa, che non si vorrebbe perdere. Ma rimane un immaginifico caleidoscopio di profumi e piaceri di gola. Ritentare nuovi assaggi si deve..

 

Risultato:una roba da restarci secchi. 
Se ne posso prendere solo uno: prendo l'Andrè Bergère. Se ne posso prendere solo due: prendo Bergère e Bonville. Se ne posso prendere solo tre: Bergère, Lanson, Bonville.
Sennò li prendo tutti e mi porto a casa anche il sommelier!








domenica 11 dicembre 2016

L'Ayatollah Khomeyni per molti è santità

Il mare magno del vino è come l'oceano: un lungo orizzonte di luce oltre il quale ti aspettano terre ignote e un acqua nera e profonda che non vuole farsi attraversare. Così lo sperduto navigatore su un guscio di noce va incontro alle difficoltà dell'immenso. E sbaglia dieci, cento, mille volte la rotta.
La straordinaria vastità, la palese impossibilità di apprendere e conoscere tutto, come il sonno della ragione, generano mostri.
I mostri sono i fondamentalismi, sempre e comunque. Le verità di dogma, le certezze settarie. Vale sempre, non solo per il vino. Ma per il vino vale di più. "Coltivare il dubbio", come diceva quel tale, è esercizio che poco si pratica e quando lo si fa, si è pure guardati con sufficienza. Ma praticare i fondamentalismi rende ciechi, o almeno miopi: ad esempio nella Grande Onda di Kanagawa tutti vedono l'onda, quasi tutti vedono due imbarcazioni in balia della stessa, pochi vedono TRE imbarcazioni e quasi nessuno il Monte Fuji: che è al centro dell'incisione ed è il protagonista della serie di opere di Hokusai "trentasei vedute del monte Fuji" di cui questa immagine fa parte.
Per tornare ai fatti nostri, che sono fatti di bicchiere, il fondamentalismo più seguito di questi anni è quello del "Vino Naturale". Quando ero ancora un tenero puttino dalla voce bianca, potevi essere un figo solo se bevevi "Supertuscans": vinacci neri, corpulenti e muscolosi, legnosissimi alla nausea. Il fenomeno nacque in Toscana, dove c'era del merito e della qualità tale da segnare un nuovo Rinascimento enologico italiano. Poi come il barocco scadde nel rococò, quando una storia diventa mito, la viralità produce disastri. Oggi chi produce quel genere di vino rifiuta con sdegno la definizione e un apprendista sommelier facilmente sgrana gli occhietti interrogativi di fronte alla parola stessa. Per fortuna è passata.. Adesso invece tutti a bere "naturale".. 
Ma il vino naturale non esiste, ve lo dico io che sto in campagna e una vignetta ce l'ho. Mai trovato vino in vigna! Se lascio l'uva sulla vite, non diventa vino... marcisce. Strano ah? Il vino è il risultato della trasformazione che l'uomo, con apposita tecnica, applica ad un elemento naturale. Quindi la storia finisce qua.. o no. Il vino naturale si distingue dal biologico (altra definizione ormai priva di senso) per il totale divieto di uso di chimica in vigna, e per chi segue il pensiero di Nicolas Joly : lavorazioni completamente manuali, niente trattori, ma forze animali in campo, seguire le fasi lunari per stabilire il calendario lavorazioni, il famoso corno e tanto altro..

Per capire l’agricoltura biodinamica bisogna comprendere la biologia, è un’agricoltura biologica in cui si lascia la natura libera di esprimersi senza le particelle chimiche di sintesi che la distruggono. La tappa successiva è quella di capire che la materia è fatta di energia e agire sul modo in cui l’energia si trasforma in materia. Possiamo dire che i preparati biodinamici permettono alla vigna di esprimersi meglio, portando sul piano materiale le forze che fanno vivere il suolo e che stanno dietro la fotosintesi. La fotosintesi è sostanzialmente la trasformazione di un mondo intangibile in un mondo tangibile, la luce e il calore diventano materia, legno, uva. La biodinamica non è una moda, ma una rottura profonda e durevole verso la piena espressione delle DOC. Questo avvantaggia ovviamente quei paesi che hanno dei grandi terroir con originalità del suolo e del microclima." (Nicolas Joly)


La faccenda è affascinante, il pensiero retrostante estremamente condivisibile, ma... Tutti i biodinamici, o presunti tali, vanno in vigna col cavallino? Non credo, quindi è una moda. 
Seppelliscono il corno di vacca ripieno di letame di vacca che ha brucato prati polifiti biodinamici? Non credo, quindi è una moda.
Tutti i biodinamici hanno un'esperienza della propria terra, del proprio microclima e delle proprie viti tale da poter applicare i principi espressi da Joly senza pagare dazio all'annata disgraziata? Non credo, quindi è una moda. 
Ancora Joly: "La biodinamica è una rottura profonda e durevole verso la piena espressione delle DOC. Questo avvantaggia ovviamente quei paesi che hanno dei grandi terroir con originalità del suolo e del microclima."
Tutti tutti ce l'hanno un grande terroir con originalità del suolo e del microclima? Non credo, quindi è una moda.
Infine la vite: fate i biodinamici e non comprate i cloni dal vivaista, anzi fate la selezione massale delle viti è vè? Non credo, quindi è una moda.
 E' una moda fare vini torbidi, con colori inguardabili, con tutte le puzze e puzzette del mondo, con sapori asprigni al limite dell'acetico.. eh, però è biodinamico! Beh certo, bevitelo tu! 
E' chiaro che qualcuno che applica la biodinamica alla propria azienda seriamente c'è, come è chiaro che ci sono molti (forse è troppo) facciamo alcuni, vini biodinamici edibili senza turarsi il naso ma sicuramente c'è una grande massa di produttori che fa viticoltura col marchio per stare sul mercato. Anche su questo, niente di male: mi piacerebbe ricordare a tutti che produrre vino è un'attività economica, ma non è che portiamo l'anello al naso.
Il vino è un aspetto del piacere di vivere, di condividere, di stare insieme... se non è buono che piacere è? 
Ai populisti: ce l'hai col vino biodinamico? No, alcuni biodinamici che ho assaggiato sono sorprendentemente buoni: quelli che ho trovato buoni e piacevoli sono quasi tutti francesi, quasi tutti di aziende pluricentenarie a conduzione familiare che applicavano ed applicano i principi che oggi si definiscono biodinamici secoli prima che venissero definiti così.
Allora sei per la chimica in vigna ed in cantina? No, ma se sei malato di tumore non ti curi con l'Efferalgan. Ti fai la chemio, mi sa. Se la tua vigna ha un problema o se la stagione è stata una chiavica, sono dalla parte di quelli che cercano di salvare il lavoro ed il raccolto. Sono per l'uso, consapevole ed onesto, di tutti i mezzi che nel 2016 abbiamo per ottenere un prodotto onesto ed il più possibile sano. E soprattutto sono per quelli che rispettano le regole: se sei bio, non tratti in convenzionale; se sei biodinamico non tratti e ne paghi il prezzo.
Ma allora che vuoi? Voglio bere vino, e pagare il giusto la bottiglia, per il valore del vino non per il valore della filosofia che lo ha prodotto. E possibilmente vorrei bere un vino, che ignorantemente, si possa definire buono. Convincetemi del contrario! 
Ma non ci sta niente da fare, l'Ayatollah Khomeyni per molti è santità. 


P.S: nella mia piccola vignetta quarantennale di montepulciano e trebbiano, faccio due o tre trattamenti all'anno solo a base zolfo e rame, con la pompa a spalla... Perchè così si fa dai tempi del mio bisnonno.
Palla lunga e pedalare!
 

martedì 6 dicembre 2016

Il Principe Nero

Come è chiaro a chi segue questo blog, l'unico criterio di selezione degli argomenti è "Quello che piace a me". Democraticissimo. E tra quello che mi piace di più c'è il Pinot Noir. Dice: "ma và?". E lo so.. non sono un tipo così originale.
Il Pinot Noir "fa ammattì".
Fa ammattire il produttore, l'enologo, il cantiniere perchè: è un vitigno difficile, è scontroso, molto sensibile al terroir, terribilmente sensibile all'andamento stagionale, esige cure e attenzioni in vigna e cantina da far venire i capelli bianchi, produzioni altalenanti e risultati diversi.Una bestemmia continua!
Ma quando lo fai bene, quando ti viene bene, quando trova l'annata giusta, quando vive nel posto giusto.. Allora signori miei, "cacceteve lu cappelle" come dicono in Borgogna!
Fa  ammattire l'appassionato perchè: è il paradiso con le vergini per il kamikaze, è l'estasi mistica per la santa, è l'orgasmo multiplo per la pornostar, e poi fa anche figo: "che hai bevuto oggi?" "Ho stappato un Pinot Noir" con sorrisetto soddisfatto e gridolini di piacere. Il Principe Nero è ammaliante e discreto allo stesso tempo: è sempre in frac ma non se la tira; è complesso e delicato, ma il suo biglietto da visita è sempre l'armonia. La perfetta armonia tra la aspetto, l'olfatto e il gusto. Per me il Pinot Noir è un esercizio zen, come quando da bambini al mare si ficcava la testa sott'acqua e si contavano i secondi per fare a gara: così versato nel bicchiere inizia la lotta tra la ragione che vuole analizzare, attendere e scovare un nuovo sentore e l'istinto animale che lo vuole trangugiare. L'unico vino che potrebbe tenergli testa per finezza, eleganza e sensualità è probabilmente il Nebbiolo, con gli altri non c'è partita.


La leggenda dice che forse è il padre di tutti i vitigni, che provenga dalla mitica terra di mezzo dell'Asia Centrale e che da lì si è diffuso quasi a tutte le latitudini del mondo. Ma la sua patria resterà sempre la Borgogna, dove risulta attestato già in documenti del 675 d.C. Qui il Principe Nero si esprime a livelli che nessuno vi potrà mai descrivere, nemmeno il Santo Bevitore. Buttando un occhio alle condizioni ambientali e climatiche, si può capire però quali sono i complicati gusti del nobile: il clima è continentale ( dice "che è il clima continentale?" per semplificare è il clima dell'Europa centrale, nelle regioni lontane dal mare e quindi: inverni freddi con frequenti gelate anche primaverili, scarsa piovosità invernale, ma intensa nella tarda primavera-inizio estate), il terreno è calcareo, marnoso e argilloso. Il calcare, prevalente in quella che non a caso si chiama Cote D'Or, è decisivo per la potenza strutturale del Pinot e per l'articolazione dell'elegante bouquet. Dalla fine dell'Ottocento, quando in ogni angolo d'Europa tutti si sentivano in dovere di "copiare i grandi francesi", si è diffuso un po' ovunque insieme allo Chardonnay, dando al contrario di quest'ultimo risultati spesso pallidi e diversamente apprezzabili. Il Principe si concede poco e non ovunque: in Italia i migliori sono certamente quelli dell'Alto Adige e del Piemonte, parlando di vinificazione in rosso. Quindi amigos, domattina non precipitatevi a comprare il primo Pinot che vi capita sottomano...
Siccome è quasi Natale e tutti sono più buoni, segue una dritta:    


Vosne-Romanée - Bossières - 2011 di Jean Grivot

Attenzione attenzione: sicuramente non è il migliore Pinot Noir del mondo, anche perchè per acquistare una bottiglia del migliore del mondo (o presunto tale) mi toccherebbe vendere la casa, la macchina, il maiale, un rene e il mio cane. Ma è questa certamente una bottiglia utile, utilissima a capire quello che sto cercando di dire... forse. E senza dubbio è una delle migliori espressioni che mi è capitato di incontrare.
Il Domaine Jean Grivot fu acquisito dal capostipite poco prima della rivoluzione francese (praticamente dilettanti...) e oggi vanta 15 ettari di terreni in ben 18 AOC ( tra cui anche Chambolle-Musigny). La vinificazione inizia con una macerazione a bassa temperatura per 4-6 settimane, poi si attiva la fermentazione esclusivamente tramite lieviti indigeni, per l'affinamento si usano in variabile misura solo legni di Allier per un anno e mezzo, infine si imbottiglia. Le fasi seguono i cicli lunari..Nessuna filtrazione, nessuna chiarifica. Il risultato è.. rosso rubino pieno, con straordinaria capacità di accogliere e riflettere la luce.  Muovendo il liquido, si fa notare l’importanza della consistenza: archetti regolari e fitti e lacrime lente ricamano le pareti del bicchiere preparando naso e palato a grandi aspettative. Il naso non rimane deluso: intensità, eleganza e complessità lo mettono a dura prova. La valutazione è fatta tutta di termini pieni, il mezzotono dell'“abbastanza” è lontano da qui. Si individuano sentori floreali di rosa, ginepro e simili fiori delicati, il fruttato è abbastanza chiaro di ribes, mora, anche prugna rossa matura e poi liquirizia e note di spezie dolci (chiodo di garofano, cumino, cannella), ancora una nuova ondata di fieno ed erbe aromatiche, piccolo annuncio boisé e tostatura di cacao. E poi basta, in bocca! Al palato in evidenza prepotente: equilibrio, eleganza, finezza e persistenza, calore, freschezza e morbidezza. Il tannino è importante, ma è satinato e suadente, neanche lontanamente astringente e fastidioso. Di straordinaria soddisfazione il momento successivo alla deglutizione: bocca pulita e il ritorno per vie retronasali di belle sensazioni per lunghi istanti. Qualità eccellente.



98/100

Yeah! 
Naturalmente Vosne-Romanée di Jean Grivot è un caso di scuola per definire i concetti di intensità olfattiva, persistenza gustativa, eleganza e complessità del bouquet e per l'infinito numero di descrittori. Ma non sarà l'unico di cui leggerete..
Coming soon col Principe Nero