martedì 15 novembre 2016

Lo scrigno magico del Faraone



di Raffaella De Laurentiis


Raffaella De Laurentiis è Sommelier e Degustatrice Ufficale AIS, inoltre è componente del panel della guida Vitae per l'Abruzzo, naso notevole, carattere fumantino: meglio non averla come concorrente in un concorso enologico. E' esperta conoscitrice di vino e non solo, con leggerissime predilezioni per: De André (Fabrizio e anche Cristiano), i gatti (!), il Sagrantino di Montefalco ed i passiti. E' la prima collaboratrice di questo blog e la ringrazio per il contributo e gli ottimi spunti. 


Buona lettura! (GDM)







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Quello che sto per raccontare non è solo una degustazione di vino, ma un viaggio attraverso atmosfere dal sapore quasi esoterico in grado di trasportare, anche solo per un momento, in luoghi lontani dove tutto può succedere.
Per arrivare alla porta della cantina Faraone a Giulianova si deve prima passare davanti all’abitazione dei signori Faraone, uno strano luogo  che evoca atmosfere da film dello studio Ghibli, in cui il tempo rimane sospeso ed è possibile incontrare strane creature che ti accompagnano lungo il tragitto. Mi sono sentita un po’come Sophie che entra nel Castello errante di Howl e si ritrova catapultata in un ambiente esoterico, ricco di strani oggetti magici e animato da “demoni” buoni; o come Shizuku de I sospiri del mio cuore che seguendo un gatto incontrato in metropolitana ( una sorta di spirito guida)  arriva in una bottega di antiquariato dove scoprirà cose molto interessanti. Così anch’io mi ritrovo in un’atmosfera magica mentre, passando davanti ad una porta finestra per raggiungere la cantina, butto un occhio all’interno della stanza e noto una luce soffusa, calda, emanata da delle lucine simili a quelle natalizie, posizionate su un mobile e lungo una parete. Sulla soglia intravedo  un maneki neko (letteralmente “gatto che chiama”), cioè una statuetta in ceramica di un gatto con la zampa alzata che nella cultura giapponese è una sorta di portafortuna, che mi guarda. E non manca neanche il mio spirito guida, infatti, mentre mi dirigo verso la porta della cantina, incontro un gatto che mi accompagna fino al suo ingresso.



Entro, e dopo aver attraversato un corridoio fiancheggiato da archetti bassi a mattoncini sotto i quali si trovano delle candele sciolte, arrivo nella sala della bottaia e quello che mi colpisce è l’atmosfera semplice e familiare nella quale, come dei totem, si trovano le botti in cui riposa il vino. Non si tratta di un ambiente futurista studiato architettonicamente come un tempio in cui entrare quasi in ginocchio e in doveroso silenzio per paura di compiere qualche sacrilegio anche solo con il respiro, ma di un luogo in cui ci si sente a casa e che ricorda la cantina del nonno.
Un luogo in cui si respira la tradizione, la passione di chi, dagli anni ‘30 ad oggi, ha dedicato la propria vita alla vigna e al vino, trasferendo  lo stesso amore di generazione in generazione. L’azienda infatti è a conduzione familiare e ha un’estensione di circa 9 ettari dai quali si producono circa 60000 bottiglie. Il signor Giovanni Faraone ha seguito la strada tracciata dal padre Alfonso e ha continuato la tradizione coinvolgendo anche i suoi figli, in particolare Federico che, da enologo, ha iniziato a seguire direttamente le produzioni dell’azienda. È proprio lui a mostrarmi la cantina e a descrivere con amore ogni procedimento.


Il vino sul quale vorrei appuntare l’attenzione è Collepietro Pecorino dei Colli Aprutini Igt 2015. La prima cosa che colpisce di questo vino è il colore giallo paglierino carico con riflessi dorati, e non esito a dire che questo pecorino trova nell’aspetto il suo coup de théâtre. Osservando il bicchiere mi accorgo anche della presenza di minuscole bollicine di anidride carbonica che mi suggeriscono che dovrò aspettarmi un leggerissimo pizzicore sulla punta della lingua. Portando il bicchiere al naso il primo sentore nitido, netto, che arriva con tutta la sua specificità, è quello della mandorla verde che conferisce anche quella leggera nota amarognola tipica di questo vitigno, una leggera nota minerale, poi fiori bianchi (gelsomino) e frutta (mela renetta e pera matura). L’olfatto è stato appagato! Profumo gradevolissimo che spinge a ripetute olfazioni. In bocca questo vino si manifesta con tutto il suo tipico calore, focoso e passionale come un bravo amante deve essere, sprigiona poi tutta la sua morbidezza dimostrandosi accogliente e premuroso nel non farci sentire abbandonati dopo un momento di passione. Vino sapido, di gran corpo, persistente. Insomma, un grande pecorino che rispecchia pienamente il territorio e non teme neanche abbinamenti un po’ forti con formaggi stagionati, salumi molto speziati, pasta panna e salsicce, vitello tonnato e, suggerimento personale, non sfigura neanche con delle coscette di pollo al forno con patate al rosmarino. 86/100.

Alla fine di questo racconto viene da chiedersi: “ma cos’è che spinge queste persone da generazioni ad andare avanti con caparbietà anche se gli eventi spesso non sono favorevoli?” Forse la risposta ancora una volta è nel Castello errante di Howl: Sophie quando entra nella casa ambulante del mago trova il demone buono del fuoco, Calcifer, che con il suo calore permette alla casa di muoversi. Si scoprirà in seguito che ad alimentare il fuoco è il cuore di Howl, custodito da Calcifer. Come dire che è l’amore a muovere tutto. Quello stesso amore che spinge me a conoscere quanto più possibile il mondo del vino e a scoprire belle realtà, come in questo caso, fatte da persone che dedicano la loro vita alla realizzazione di un sogno.  


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