Giacomo Ceruti, il Pitocchetto, "Gli spillatori di vino" Olio su tela, collezione privata
Dopo
aver frequentato diversi eventi relativi al vino, fiere, degustazioni (formali
e non) sono arrivata
a questa conclusione: ma perché ci si deve
mettere in ghingheri per bere un bicchiere di vino? Pensiero estemporaneo: mio
nonno, che amava fare il vino per il fabbisogno familiare, mica si metteva il
vestito della festa per sedersi a tavola e bersi un bicchiere! Chi ha avuto l’occasione di girare tra
le varie iniziative che ruotano intorno al mondo del vino, ha potuto di certo
notare le mise, a dir poco originali,
del variegato popolo di produttori e assaggiatori. Vi assicuro che se ne vedono
delle belle, o meglio, delle brutte! Naturalmente a dare il “meglio” siamo noi
femminucce, se non altro perché abbiamo un’ampia possibilità di scelta su come combinare
fantasiosamente le varianti che la moda ci offre. In alcune occasioni, vi
giuro, sono arrivata anche a desiderare di essere una muffa, pur di non
guardare lo scempio che mi sfilava davanti. I maschietti invece hanno un range
più ristretto, al massimo possono optare per un colletto alla coreana, decidere
per cravatta sì cravatta no o osare con gli immancabili pantaloni rossi o
gialli che puntualmente fanno la loro comparsa. E poi…purtroppo sono poche le persone che possono
permettersi di indossare giacche di velluto con le toppe sui gomiti, maglia a
collo alto o orologio nel taschino non
per ostentazione ma per classe innata. Il resto è solo vinaccia spremuta.
Comunque,
il minimo comune denominatore di tutto ciò non è altro che la voglia di
apparire ed essere ad ogni costo originale perdendo di vista il senso di ciò
che si trova nel bicchiere.
Fermiamoci
quindi un attimo a pensare: da dove arriva quel fantastico liquido che ci
ritroviamo nel bicchiere? Dall’uva. Da dove proviene l’uva? Dalla vigna. Come
ci vai in vigna? Con lo smoking o coi tacchi a spillo? No! Con i pantaloni
verde militare coi tasconi, con le scarpe da lavoro, con una felpa, con una
camicia di flanella e con un giaccone e quando fa caldo con una t-shirt. Che
colpo di stravaganza sarebbe se nelle fiere si trovasse gente vestita come
quando si lavora in vigna, persone che della vigna se ne occupano materialmente,
come per esempio chi pota o chi vendemmia!
Spesso queste persone sono contadini
di una certa età, che sono cresciuti in vigna e alla cui esperienza ci si affida
per curare le viti, dimenticandosi spesso che se non fosse per loro la
bottiglia sarebbe vuota. Naturalmente tra coloro che si occupano della vigna ci
sono anche tantissimi produttori che si sporcano le mani con la terra, per
fortuna, e proprio per questo mi piacerebbe se alcuni di loro scendessero dal
piedistallo e cominciassero a raccontare come si fa veramente il vino, senza
tanti fronzoli, paroloni o tecniche oratorie che lo fanno passare come chissà
quale bevanda miracolosa. Il vino viene dalla terra, quindi è qualcosa che ci
appartiene concretamente, la vite ha radici profonde, è una pianta che sa sopravvivere,
che sa scavare a fondo per andare a cercarsi ciò che le serve per vivere. La
vite secondo me è una pianta “profonda” e basterebbe prendere esempio da lei
per capire che il senso della vita è tutto lì e che non servono sovrastrutture.
Spesso è tutto molto più semplice di come sembra.
Oh i bei cretini di una volta! Genuini, integrali.
Come il pane di casa. Come l’olio e il vino dei contadini.
Come il pane di casa. Come l’olio e il vino dei contadini.
Leonardo
Sciascia (1921 – 1989)
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