In una delle sue ultime canzoni riuscite, Guccini si immagina Ulisse che ripercorre la sua storia: Itaca, dove "ulivi e armenti erano i miei ori" e poi il richiamo dell'avventura "le concavi navi dalle vele nere" a solcare il Mediterraneo dov'era Nausicaa e dove le Sirene. E la memoria a confondere tale oblio perchè il senso non era la sequenza di eventi ma il percorrere quel sentiero "in mesi, anni o soltanto settimane".
E' il tema universale dell'uomo che segue una strada segnata nel suo destino per divenatare quello che è: non importa se il sentiero è una rotta di mare e le mani stringono un timone che segna la scia bianca tra le onde alle proprie spalle, o un tratturo di terra battuta con le mani attorno ad un bastone e un bianco gregge alle spalle. Il sentiero è sempre lo stesso e l'uomo lo percorre da sempre, è il sentiero dell'essere di parmenidea enunciazione.
Così, lungo il sentiero, fai una fermata quasi casuale con gli Amici della Confraternita del Grappolo in una glaciale mattina di marzo a Rosciano (Pescara) e ti infili in una cantina minuscola che ti ripari dal vento e ti rifocilli a dovere. La cantina è Falon del signor Silvano Falone.
Inizia a raccontare quella del suo vino, proveniente da un ettaro (uno) di Montepulciano d'Abruzzo sulla prima linea di colline che dal Pescara guarda verso il Gran Sasso. Zona vocata: grandi realtà regionali a pochi passi, ma lui vuole solo fare un vino genuino che gli ricordi la sua infanzia e prosegua nel tempo a ricordarla ad altri. Produce Montepulciano, Olio e qualche cereale: è un'azienda agricola vera, polifunzionale come tutte le aziende agricole vere. La sua narrazione è semplice e piana, senza le iperbole eroiche, i voli pindarici e le vanterie tronfie di tanta gente che fa il business del vino come farebbe il business delle scarpe da tennis. E ci racconta con pochi tratti di questo ettaruccio di vigna, delle 8-10000 bottiglie che ne ricava ogni anno, di come si sia affidato per gli aspetti enologici all'ottimo Loriano Di Sabatino. E intanto versa da bere, poi ci lascia a meditare mentre va ad affettarci una pagnotta di pane fatto in casa, con la farina del suo grano, bagnata dal suo Extravergine..
Le etichette che produce la casa sono attualmente due: un Montepulciano d'annata che affina in acciaio e poi in bottiglia ("A pà") e un Montepulciano che invece affina in botti di rovere per almeno diciotto mesi ("Keleuthos"). Sarebbe in arrivo, ma non è ancora pronto, un metodo classico a base Chardonnay e Pecorino da uve prodotte da un'azienda vicina: attendiamo.
"A pà" Montepulciano d'Abruzzo DOC Colline Pescaresi, 2015 13,5%
Versato, si presenta nel classico rubino compatto, impenetrabile: l'unghia violacea mostra i segni di una maturità non ancora piena. La massa nel bicchiere è importante e lascia immaginare una buona struttura. Al naso esprime con intensità la tipicità del grande autoctono: frutta rossa matura, sfalcio d'erba su fondo floreale.
In bocca è secco, caldo (i 13,50% sono un po' sottostimati), abbastanza morbido. La gioventù che si scorgeva è confermata da una una freschezza piena e dalla presenza solida dei tannini, la mineralità è solo accennata. Abbastanza in equilibrio tutte le componenti, mediamente persistente dopo la deglutizione e con un corpo presente ma non pesante. L'intensità gustativa è avvolgente. Maturo e abbastanza armonico è ottimo compagno di un buon pecorino di Farindola o una bella bruschetta con la ventricina teramana.
82/100
"Keleuthos" Montepulciano d'Abruzzo DOC Colline Pescaresi, 2011 14,5%
E' l'orgoglio del signor Silvano: si vede da come ne parla, si sente il sentimento. Al bicchiere si presenta austero, rosso rubino impenetrabile con l'unghia non ancora aranciata. Pienamente consistente, ruota nel calice con possenza: archetti fitti e lacrime pesanti. Il naso trova subito l'evoluzione con intensità: i bei frutti rossi assumono forma di marmellata, la speziatura è dolce e netta ma non così invadente da cambiare i connotati tipici del vitigno, la nota vegetale è adesso secca e si accompagna ad un rametto di mentuccia appassito. Complesso e fine.
Secco, caldo e morbido, è ancora pienamente fresco. I tannini voluminosi sono in evidenza, ma lo svolgimento della malolattica li ha resi quasi laccati, sapidità media. Anche qui, il corpo non si mostra esile, ma è fine e non disturba: un buon risultato considerato il vitigno, l'epoca di raccolta (fine ottobre), l'ambiente pedoclimatico (le colline pescaresi a quest'altezza possono essere molto calde) e le tecniche applicate.
L'intensità gusto-olfattiva è dominante sulla persistenza: da un bel Montepulciano così ci si attenderebbe un po' di lunghezza in più, ma nel complesso piace. Raggiunge l'equilibrio, in un'annata più fredda potrebbe ambire a punteggi più elevati. Tutto il sorso è giocato sulle note morbide, già annunciato dall'olfazione, il grado alcolico elevato, l'ottima tannicità e la buona freschezza riportano il tutto in un equilibrio piacevole. Ottimo con pancetta di maiale in porchetta, ma anche con un bell'agnello ai carciofi.
86/100
In conclusione due buoni vini, che ben rappresentano l'identità del territorio ma anche del produttore, e che hanno nella sincerità la loro qualità migliore. Senza fronzoli e senza disquisizioni filosofiche sui "vini veri" e meno veri, l'azienda Falon mira alla sostanza. Il verdetto è che la sostanza c'è, ed è piacevole e di qualità. La realtà è microscopica, ma senza queste aziende si perderebbero fette importantissime del patrimonio culturale e agricolo, e non ce lo possiamo permettere. Gli anctichi sentieri del vino fatto con passione ancestrale, come fosse destinato al consumo domestico, devono continuare ad essere percorsi. Keleuthos deve ancora essere percorso e il vino deve continuare ad accompagnare ed alleviare la fatica dei campi.
Ritardate l'arrivo ad Itaca, l'importante è il cammino.
Bellissimo articolo carico di professionalità, scorrevole e delicato.
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